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La Storia di AVEZZANO

negli scritti di Ellegì

 
 
 

a cura di Angelo Melchiorre
Giulio Lucci, scomparso dieci anni fa, è stato per circa un quarantennio il “cronista” in dialetto delle vicende di Avezzano, dalla riforma agraria degli anni Cinquanta allo sviluppo economico ed edilizio degli anni Novanta. I suoi articoli su “il Fucino” e su “Il Tempo” hanno accompagnato passo passo tutte le trasformazioni della città, da quelle sociali e politiche a quelle morali e di costume. Più e meglio di chiunque altro, ha dunque tracciato un profilo della sua città, col tono tra ironico e malinconico che è proprio di uno che ha amato la sua terra e l’ha rappresentata, nelle luci e nelle ombre, in ogni suo aspetto, fosse quello minuto e quasi insignificante delle strade sporche e dei marciapiedi dissestati, fosse quello, più serio e impegnativo, dello sforzo compiuto da molti di far diventare Avezzano “provincia”. Nelle sue pagine, sempre sorridenti anche quando trattavano di drammi e di sofferenze (come il terremoto o la guerra), scorrono tutte le immagini degli ultimi decenni del XX secolo: l’Ente Fucino, le autostrade, lo zuccherificio, l’agricoltura fucense, il “boom” delle automobili, la televisione, i politici, la Madonna di Pietraquaria, le feste tradizionali, le feste più nuove (si pensi alla “Settimana Marsicana”, da Ellegì più volte ricordata nei suoi articoli), la burocrazia, l’emigrazione, la vita quotidiana. Senza mai far nomi, Ellegì ha toccato, con arguzia e buon senso, tutte le virtù e i difetti di una generazione, anzi di più generazioni: da quella uscita dalla guerra, all’altra, più giovane, del benessere economico e dell’euforia godereccia degli anni Sessanta. E soprattutto nella rubrica “Pìe e contrapìe” (su “Il Fucino”), la presenza di due interlocutori, Biasino e Rantuccio, permette all’autore di non tralasciare alcun argomento, nemmeno i più scottanti, divenendo così una vera e propria “voce della coscienza” cittadina.
Finora la città di Avezzano è stata alquanto “smemorata” nei confronti di questo scrittore popolare che, forse o sicuramente più di chiunque altro, ha contribuito a cambiare mentalità e atteggiamenti di molti avezzanesi: un cambiamento “culturale” che ha fatto diventare questa nostra città una delle più aperte e tolleranti di tutta la regione. A dieci anni dalla sua morte, una “riparazione” appare dunque opportuna e doverosa.

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